In queste settimane lo stiamo vedendo al cinema in “Genitori quasi perfetti”, la tragicommedia dal forte impatto teatrale sull’ipocrisia e la fragilità dei rapporti umani, diretta da Laura Chiossone (con Anna Foglietta, Paolo Calabresi, Lucia Mascino, Marina Rocco ed Elena Radonicich). Stiamo parlando di Paolo Mazzarelli, volto molto conosciuto e amato per il pubblico del piccolo e grande schermo per aver preso parte a prodotti televisivi e cinematografici di successo, da “Rossella” a “La dama velata”, da “E’ arrivata la felicità” a “Una pallottola nel cuore”. Ora, in quest’intervista che gentilmente ci ha concesso, parliamo della sua ultima fatica al cinema e facciamo un tuffo nel suo percorso artistico.
Paolo, cosa ti ha spinto a far parte di “Genitori quasi perfetti”?
“Il caso. Stavo andando a Milano e mi è giunta notizia della possibilità di incontrare Laura Chiossone, la regista, che a giorni avrebbe iniziato il film. Le restava scoperto solo il ruolo che poi ho fatto io. Ci siamo incontrati, abbiamo lavorato insieme un’oretta, e mi ha preso. Qualche giorno dopo stavamo facendo il film e ho capito che era stato un caso molto fortunato ad avermi portato da lei”.
Ci racconti un po’ del tuo personaggio?
“Il mio personaggio si chiama Alessandro ed è il padre di Denis, un bambino un po’ troppo vivace. Nel film Alessandro non sa affatto gestire suo figlio, perché si tratta di un uomo che ha messo da sempre in secondo piano il suo ruolo di padre per dedicarsi anima e corpo al lavoro. Vede la vita secondo schemi piuttosto rigidi, e ovviamente questi schemi vengono messi a dura prova dalla realtà. Fra tutti è forse il personaggio più “normale”, ma ho cercato comunque di dargli una vivacità, alternando qualche uscita un po’ cattivella a qualche momento più dolce e umano”.
Non so se tu sia genitore, che tipo di papà sei o vorresti essere?
“Non sono genitore. Mi piacerebbe molto esserlo e ho la presunzione di credere che sarei un buon padre. Ma ovviamente finché non lo sarò, la mia rimarrà una presunzione”.
Assomigli al tuo personaggio?
“No. Se devo scegliere tra lavoro e vita, ora che non ho più trent’anni, scelgo la vita. La semplicità degli affetti, la possibilità di viaggiare, restare liberi, vale più di qualunque carriera o soddisfazione economica. Io poi ho la fortuna di fare un lavoro che amo, che per me non è neppure un lavoro ma un gioco molto serio e una sfida continua, e anche in questo senso credo di aver fatto scelte un po’ diverse da quelle del mio personaggio”.
Quale ritieni sia il ruolo dei genitori nel periodo storico che stiamo vivendo?
“Il mondo è oggettivamente in una situazione disperata, il futuro appare nero, il clima, la paura, la violenza, la perdita di umanità, le minacce sono tante e serissime. Essere genitori oggi è difficile. Credo si debba educare i bambini a ritrovare una semplicità ed un rispetto, a capire che dare può essere molto più bello, nobile e soprattutto gratificante che ricevere. E poi, se si dà, si riceve per forza qualcosa in cambio. Non soldi, perché il mondo non va in quel senso, ma qualcosa di meglio”.
Sei un attore molto apprezzato, ma cosa ti ha spinto a scegliere questo mestiere?
“La possibilità di non fermarmi, incontrare nuove persone, crescere. Io lavoro da sempre soprattutto in teatro, dove da circa dieci anni scrivo e metto in scena spettacoli insieme a Lino Musella, e il teatro – specie se vissuto in maniera coraggiosa e creativa – può essere uno straordinario cammino di crescita umana”.
Quali fini ha, secondo te, l’attore nei confronti del pubblico?
“Cercare di regalare qualcosa che possa minimamente arricchire, in termini ovviamente non economici, ma a livello di sentimenti e di pensieri. Se anche solo uno spettatore arriva a formulare un pensiero che non avrebbe formulato, o viene mosso da una emozione che non lo avrebbe mosso, allora l’incontro col pubblico avrà avuto un suo piccolo senso”.
Quali ruoli prediligi? Meglio essere un cattivo o un buono?
“Meglio i ruoli ben scritti, non esistono personaggi solo buoni o solo cattivi, se non nella visione piatta di certe narrazioni di serie B”.
Nasci come attore teatrale, ma cosa rappresenta per te il palcoscenico?
“Un modo concreto e creativo per affrontare la paura, guardarla in faccia, provare a superarla. Si diventa più forti come esseri umani, se si impara a stare sul palco in modo ‘aperto’”.
Quali sono le principali differenze tra teatro, cinema e televisione?
“Sarebbe un discorso lungo, e non credo che saprei farlo. Credo, però, che almeno per un attore il teatro sia il futuro, perché mentre cinema e tv saranno sempre più modificati e minacciati dalla tecnologia e dalla rivoluzione social, il teatro resterà l’unica forma d’arte (o di intrattenimento) nella quale il fattore umano sarà davvero centrale e necessario. Pubblico e attori devono essere vivi, contemporaneamente, nello stesso ambiente. Da lì non si scappa. Almeno, spero non si scapperà”.