L’Aquila, il 6 Aprile 2009: la terra trema in ventitré interminabili secondi che provocano ben 309 morti, 1600 feriti, 80 mila sfollati e 10 miliardi di euro di danni stimati. Quella che è avvenuta è una tragedia che in pochi secondi ha spento per sempre i sogni, le speranze e le vite di un’intera generazione. A dieci anni di distanza, quel terremoto è diventato metafora dell’incertezza di coloro che sono riusciti a sopravvivere alle macerie, alla perdita dei propri cari e della propria stabilità della realtà che li circondava e che hanno dovuto far i conti con un futuro nuovamente da disegnare. I luoghi che avrebbero dovuto proteggerli non l’hanno fatto, una responsabilità che chi di dovere probabilmente non si preso fino in fondo. Quello che verrà fatto questa sera su Rai2 alle 21, 20  in  “L’Aquila 3:32. La generazione dimenticata” sarà un racconto toccante e molto inteso, tra le strade della città e i luoghi simbolici della vicenda, incontrando  coloro che hanno vissuto il sisma sulla propria pelle. Sotto la puntuale e sensibile guida di Dario Acocella (che gentilmente ci ha concesso quest’intervista), regista del docu – film, Lino Guanciale conduce lo spettatore nel viaggio della città fantasma, con la forte delicatezza che lo contraddistingue.

Dario, per quali motivi affrontare questa nuova interessante sfida per Rai2?
“Era un progetto nelle intenzioni della Standbyme. Simona Ercolani ha sottoposto questo progetto a Rai Cinema per far nascere un film che non fosse di solo intrattenimento ma che celebrasse la memoria dei giovani dell’Aquila nella ricorrenza dei 10 anni di quel terribile evento che ha scosso l’animo di chiunque. Mi hanno poi chiamato chiedendo se volevo essere io alla regia e ho detto sì”.

“L’Aquila 3:32. La generazione dimenticata” è il titolo del docu- film, perché chiamarlo proprio così?
“Per chi ha vissuto direttamente, e anche indirettamente, la tragedia di quel maledetto 6 aprile l’orario sicuramente non si può dimenticare perché da quel preciso istante per i più la vita è cambiata e di fatto non sarà mai più la stessa”.

A condurre gli spettatori in questo viaggio sarà Lino Guanciale, per quali motivi hai scelto proprio lui in queste vesti di narratore?
“Al momento di decidere chi dovesse fungere da filo conduttore con il pubblico, siamo stati tutti d’accordo che dovesse essere un volto caro agli spettatori, che avesse qualità artistiche e che avesse a cuore quanto accaduto in terra abruzzese. Lino è di Avezzano, a 45 chilometri circa dal capoluogo regionale; inoltre giocava nel rugby della città, anche suo fratello studiava lì. In quella notte, Lino si trovava nella sua città e si è svegliato con la libreria che gli si è rovesciata addosso. Condivide la ferita che hanno i giovani dell’Aquila, oltre che quasi la stessa età all’epoca del fatto, la stessa di alcuni studenti fuori sede com’era lui che invece aveva studiato all’Accademia d’Arte Drammatica a Roma. Lino era ed è quindi molto vicino a loro”.

Di quel giorno cosa ricordi?
“Quel 6 aprile non ero in Italia, mi trovavo a Parigi venendo da Los Angeles; ricordo che quando sono andato per ritirare i bagagli nei monitor dell’aeroporto scorrevano già le immagini della CNN dell’Aquila. Il tragico evento ha avuto una portata mondiale sia per l’entità sia per la vastità del territorio coinvolto; alcuni paesi sono letteralmente scomparsi. L’Aquila stessa è tuttora purtroppo una città fantasma”.

Quel 6 aprile sarà impossibile da dimenticare, tu cos’hai provato nel ripercorrere le tante storie di sopravvissuti e di chi purtroppo non ce l’ha fatta?
“E’ stato uno dei progetti più difficili da affrontare a livello umano. La distruzione esterna delle abitazioni e di tutti quegli aspetti materiali purtroppo è corrisposta a una distruzione interna degli esseri umani con i quali siamo venuti a contatto. Alle 3:32 si è rotto qualcosa creando una frattura che sarà impossibile da ricomporre. Racconteremo la storia di un padre che ha tirato fuori dalle macerie una figlia senza neanche un graffio, l’ha ripulita ma non c’è stato più nulla da fare perché era già morta. Nel docu – film ci sarà anche la storia di una ragazzo che era all’Aquila per studiare, era andato dalla sua fidanzata, dormivano nello stesso letto e in seguito alla scossa lei è morta e lui è rimasto incastrato sotto le macerie per più di 20 ore ma è riuscito a sopravvivere, nonostante abbia oggi perso l’uso di un braccio, abbia avuto decine di infezioni ai polmoni e abbia subito 20 interventi chirurgici senza l’aiuto dello Stato”.

Delle tante macerie, non solo materiali ma anche emotive, cos’è rimasto?
“Rimane la consapevolezza di quanto siamo di passaggio, di quanto la vita sia in bilico tra l’essere qualcosa di straordinario e qualcosa di crudele. Si prova una grande rabbia quando si comprende che non è stato un terremoto ad uccidere, bensì edifici costruiti male. La Casa dello Studente infatti – che ha ucciso 8 ragazzi – era una struttura dello Stato, il quale non è riuscito a garantire sicurezza ma morte”.

Dopo una tragedia così enorme, si può ancora riuscire a vivere?
“Ritengo che gli abruzzesi siano un popolo straordinario che è riuscito a rialzarsi; quello che chiedono – e che secondo me non è ancora stato dato loro – è uscire da questo status perenne di terremotati. I riflettori e lo Stato dovrebbero capire che la popolazione non si è ritrovata più i beni primari, ovvero quelli che fondano l’identità e la dignità di esseri umani, quali una casa, luoghi di riferimento e l’università. Sono passati ben 10 anni e L’Aquila è il più grande cantiere d’Europa. Il privato è già stato tutto ricostruito, al contrario invece del pubblico che è nelle mani dello Stato”.

Cosa ti auguri arrivi al pubblico che vedrà questo docu- film?
“Vorrei che arrivasse un vero e proprio documento storico. Attraverso le vite, gli occhi e il cuore di coloro che vivevano lì, vorrei far capire cos’è accaduto a chi è viveva a molti chilometri di distanza da quello che è successo: poteva accadere a chiunque di noi”.