E’  un vero e proprio sguardo all’arte del mentalismo da una prospettiva originale: un modo per tornare a stupirsi per le magie dei rapporti umani, quelli a contatto diretto, guardandosi negli occhi, parlando, cogliendo le sfumature di un’espressione del viso, lo stato d’animo e i pensieri di chi abbiamo vicino. Questo e molto altro è “Human”, il nuovo progetto di  Francesco Tesei – “il più grande mentalista d’Italia” – che ha scelto nuovamente Meldola  per l’anteprima nazionale che consiste in quattro serate di prove aperte al pubblico da giovedì 11 a domenica 14 ottobre alle 21.

Dopo aver provato e debuttato con il suo precedente spettacolo “The Game” che ha poi registrato tanti sold out in tutta Italia, “Human” diventa quindi un’esperienza di condivisione e di co-creazione di ogni singola replica dello spettacolo. E’ una suggestiva esplorazione di inconscio, ragione e di tutto ciò che vive a cavallo tra i due, recuperando gli aspetti profondamente umani che ci rendono ciò che siamo e che si stanno perdendo in un mondo altamente tecnologico, sempre più virtuale, distratto e illusorio. Ne abbiamo parlato prorpio con Francesco Tesei.

Tesei, partiamo proprio da “Human”. Ci spiega perchè ha deciso di portare in scena questo progetto?

“Questo è il mio terzo spettacolo per il teatro. Il primo (Mind Juggler) presentava la figura del mentalista, con esperimenti che spaziavano a 360 gradi, il secondo (The Game) affrontava il tema della fortuna chiedendosi se sia davvero così indipendente dalle nostre scelte e azioni e in che modo si possa controllarla. Tre anni dopo arriva questo nuovo spettacolo, e la domanda stavolta è: “Cosa ci rende ciò che siamo?”.

Perché chiamarlo proprio in questo modo?

“Mi sono reso conto che il mentalismo è un modo per tornare a stupirsi per le magie dei rapporti umani, quelli veri: guardandosi negli occhi, cogliendo le sfumature, i silenzi, le pause, i respiri, intuendo e rispettando lo stato d’animo di chi abbiamo davanti a noi. È un modo per rimettere al centro il “fattore umano” in un mondo nel quale i social network condizionano le nostre abitudini e i nostri pensieri, collegandoci in apparenza con tutti, ma creando di fatto una realtà sempre più virtuale, finta e illusoria”.

In che modo il pubblico interagirà con lei?

“Come al solito gli spettatori saranno i veri protagonisti dello spettacolo, partecipando ad una serie di “esperimenti” che questa volta toccheranno temi legati alla natura umana. Per esempio si parlerà di memoria e della capacità di concentrazione, che trasforma il rumore di fondo in segnale; ma anche della capacità che abbiamo di creare racconti e di immedesimarci nei loro protagonisti, vivendo le loro gioie e le loro sofferenze per trarne qualche lezione utile alle nostre vite personali. Cercherò di spingere al limite il concetto di “empatia”, di “trascendenza” e “relazione”, traformandoli in qualcosa di “magico”. L’idea di fondo è di mettere a fuoco le differenze tra uomo e macchina (il computer ma anche il nostro cellulare) attraverso un meccanismo di contrasto. Empatia, trascendenza e relazione sono tre caratteristiche prettamente umane che forse stiamo perdendo in un mondo che vuole distrarci costantemente: creare esperienze suggestive su di esse è il mio modo per sottolinearne il valore e l’importanza”.

Per chi ancora non avesse ben compreso di cosa si tratta, cos’è un mentalista?

“Immagina di prendere uno psicologo, un esperto di comunicazione e un illusionista, e di metterli dentro ad un frullatore. Il “cocktail” che esce è un mentalista…”.

Quale ruolo ha il mentalismo nella società e nei rapporti umani?

“Il mentalismo gioca con le tecniche di persuasione per condizionare o prevedere pensieri e scelte degli spettatori. C’è una dose di illusionismo in quello che faccio, ma questo riflette, a mio parere, le mille illusioni che abitano nella nostra mente: giudizi, pregiudizi, valutazioni approssimative o addirittura completamente infondate. La comunicazione non descrive la realtà: la crea. In questo senso anche i pubblicitari o i politici sono dei mentalisti, e – perché no – anche i giornalisti… Chiunque si occupi di comunicazione sa che può distorcerla a proprio uso e consumo, e più è un abile comunicatore più sarà in grado di convincere il proprio pubblico che quella è “la Realtà” (nota la maiuscola). La differenza sta nel fatto che, in quanto mentalista, il mio scopo è prima di tutto quello di stupire, divertire ed emozionare gli spettatori. E, in alcune occasioni, di rendere evidenti alcune delle manipolazioni della comunicazione, perché se ne conosciamo i meccanismi e le regole allora possiamo giocare ad armi pari”.

Lei ha varcato i palcoscenici e i programmi televisivi più importanti, ma torna sempre in Romagna. Cosa rappresenta per lei questa terra?

“È una bella domanda! All’inizio della mia carriera da mentalista lo scrittore Massimo Polidoro definì ciò che facevo come “un lavoro dal respiro internazionale”. Credo che questo sia dovuto al fatto che per oltre 15 anni avevo viaggiato per il mondo, esibendomi come illusionista per spettatori americani, europei ed asiatici. Per lavoro ho visitato e vissuto in più di trenta paesi nel mondo, dalla Russia al Brasile, dalla Norvegia all’Argentina. È stata una fortuna, ed è stato particolarmente bello farlo nel periodo tra i venti e i trent’anni. Ho conosciuto artisti di tante nazionalità diverse e ho cercato di imparare qualcosa da ognuno di loro. Poi, però, sono rientrato. Tornare a casa è stata una scelta di vita, ma anche una sfida: abbandonare l’illusionismo e proporre il mentalismo in Italia, facendone un lavoro a tempo pieno. Visti i miei impegni con la televisione sarebbe stato più comodo trasferirmi a Roma o a Milano, ma ho sempre amato vivere in una realtà piccola e più a misura d’uomo. Questo è ciò che più apprezzo di una città di provincia come Forlì: si procede ad una velocità ancora sostenibile, c’è meno schizofrenia rispetto alle grandi città (…non tanto… ma giusto un pochino meno!), meno traffico, meno rumore. Poi, naturalmente, ci sono anche il cibo e il clima. È banale ma è vero. Questo non vuol dire che mi sia chiuso a riccio rispetto al resto del mondo. Mia moglie è straniera e nostro figlio ha tre passaporti: italiano, svizzero e australiano. Beato lui! Lo portiamo spesso in Svizzera, dove abbiamo parenti, e quando sarà un po’ più grandicello (ora ha solo un anno e mezzo) andremo assieme in Australia. Poi, in futuro, immagino che sceglierà lui dove vivere. Intanto cresce bilingue (italiano e inglese) e chissà, magari fra un po’ mia moglie gli insegnerà anche il tedesco…”.

Cosa si augura che “arrivi” a coloro che vedranno il suo spettacolo?

“Mi rendo conto che quando parlo del mio lavoro il tono è piuttosto serio, perché prendo seriamente quello che faccio. Ma sul palco il tono è diverso: c’è molta ironia e una grande voglia di divertirmi insieme al pubblico. Quando penso e scrivo i miei spettacoli parto da temi a cavallo tra psicologia e filosofia, ma il risultato non è una conferenza: è uno show fatto di colpi di scena, di momenti di stupore, di meraviglia e anche di risate. Ci sono chiavi di lettura diverse: ci si può fermare al livello più superficiale, il classico “Ma come fa?!”, oppure cogliere il sottotesto, che suggerisce piccole riflessioni sui temi dello spettacolo. Senz’altro mi piace provocare dubbi nella mente del mio pubblico. Credo che, in fondo, la qualità della nostra vita dipenda dalla qualità delle domande che ci facciamo, e quindi avere dei dubbi per me non è sinonimo di insicurezza, ma di apertura mentale e disposizione al cambiamento. Con questo nuovo spettacolo ho cercato prima di tutto di non ripetermi (e per questo le prove che farò a Meldola sono per me fondamentali). Spero di continuare a stupire chi mi segue già da tempo, di meravigliare chi mi vedrà per la prima volta, e di far passare una serata divertente e suggestiva per tutti. Credo che giocare e divertirsi assieme possa essere un modo efficace non solo per passare una bella serata, ma anche per mettere in discussione le proprie convinzioni, con l’obiettivo di migliorarsi sempre. Con The Game volevo che il pubblico uscisse da teatro dando un significato diverso alla parola “fortuna” e assumendosi maggiori responsabilità personali per i propri successi e fallimenti.  Con Human spero che emerga un particolare livello di “connessione” tra le persone, e magari che – usciti dallo spettacolo – si cominci a guardare ai cosiddetti “Social” in modo diverso…”.