ROMA – Coprodotta da Rai Fiction con Picomedia e sostenuta da Apulia Film Commission, “La vita promessa” di Ricky Tognazzi sta giungendo al termine della sua avventura con la soddisfazione di aver raggiunto milioni di cuori degli spettatori che hanno seguito questa storia su Rai1. La storia si snoda nello scenario degli anni venti del secolo scorso, con un intreccio di vicende tragiche, le delusioni e i tentativi di riscatto che segneranno l’esistenza, in Italia prima e a New York poi, di Carmela, la “madre coraggio” sempre pronta a lottare per La vita promessa a se stessa e ai suoi familiari. Nel cast anche un bravissimo Flavio Furno che gentilmente ci ha raccontato qualcosa in più del suo ruolo.

 Ti stiamo vedendo ne “La vita promessa”. Per quali motivi hai detto di sì a questo progetto televisivo?
Perché mi piaceva l’idea di far parte di una grande saga familiare, perché le atmosfere mi ricordavano quelle di alcuni film di Scola o di Leone che ho amato, perché il personaggio che mi era stato offerto mi ha conquistato fin dalla prima lettura: un antieroe romantico, un osservatore attento, di poche parole e grandi azioni. In più la presenza di Luisa Ranieri, di Lina Sastri e la regia di Ricky Tognazzi mi hanno definitivamente convinto”.

 Vesti i panni di Mosè Pogany. Ci racconteresti un po’ di lui?
“Mosè è un ragazzo ebreo di Napoli, benestante, che si innamora perdutamente e subitaneamente di Maria. La porta con sé in America con la speranza di farle ritrovare la sua famiglia, che la crede morta. A New York iniziano una nuova vita insieme, hanno un figlio, insomma tutto potrebbe essere perfetto se non fosse che il passato ad un certo punto torna a chiedere il conto”.

Come ti sei preparato per questo ruolo?
“Sono stato in sinagoga dove ho avuto l’opportunità di approfondire la cultura ebraica, della quale avevo una conoscenza molto superficiale. Ho scoperto un popolo dalle tradizioni antichissime ed estremamente affascinanti. Incontrando alcuni esponenti della comunità ebraica di Roma, ho avuto modo di capire quale fosse il modo di vivere questa religione negli anni ‘20, prima delle leggi antisemite e di tutto quello che ne è conseguito”.

La storia che porti insieme ai tuoi colleghi nelle nostre case affronta tematiche molto delicate come quella del coraggio. Oggi a cosa si dovrebbe dire no?
“Senza dubbio il no più grande che dobbiamo dire oggi è alla perdita di umanità”.

Tutta la storia ruota intorno alla famiglia. Per te cosa rappresenta?
“Le radici, quelle dalle quali è impossibile scappare e che plasmano la nostra identità. La famiglia è il senso di appartenenza, e rappresenta un concetto molto ampio, non più definibile nella forma”.

Cosa ti auguri arrivi di questa fiction a coloro che resteranno incollati allo schermo fino alla fine?
Mi piacerebbe che chi la guarda riflettesse su quello che siamo stati; su quanto sia dolorosa e spesso obbligata la scelta di lasciare la propria terra”.

I  tuoi prossimi progetti?
“Ad ottobre andrà in onda “Rocco schiavone 2” dove ci sono anch’io nel primo episodio su Rai 2 con Marco Giallini e in questi giorni sto provando in teatro “The deep blue sea” per la regia di Luca Zingaretti con protagonista Luisa Ranieri. Saremo presto anche a Ferrara”.