Sono ancora record gli ascolti per una delle serie tv più amate, giunta quest’anno alla seconda stagione. Stiamo parlando di “Non dirlo al mio capo”, la fiction targata Rai1 che vede tra i protagonisti Lisa, ‘casinara’ sempre alle prese con i figli che non sa come gestire e un amore sfrenato per il suo capo di lavoro e Enrico Vinci, l’avvocato tanto conteso dalle donne con qualche scheletro nell’armadio. A vestire i panni di quest’ultimo troviamo ancora una volta una bravissimo Lino Guanciale che gentilmente ha risposto a qualche nostra domanda.
Abbiamo lasciato Enrico Vinci conteso tra due donne. Come prosegue questa tresca amorosa per l’avvocato?
“Enrico Vinci si trova dinnanzi ad una scelta in cui chiunque può trovarsi, ovvero la nostalgia per un grande amore naufragato per responsabilità condivise e un amore che potrebbe dare un significato al suo futuro con Lisa. Nell’oscillare tra queste due soluzioni, l’avvocato imparerà a crescere”.
Perché hai accettato questa seconda stagione?
“Perché il mio personaggio ha un’evoluzione. Nonostante gli schemi della passata stagione vengano ripresi in quanto il pubblico credo desideri ritrovare quello che gli è piaciuto, in queste nuove puntate ci sono margini evolutivi non indifferenti per questo adorabile antipatico ragazzaccio”.
In quali novità saremo coinvolti?
“Enrico si troverà a dover affrontare un dilemma molto adulto che riguarda l’amore su cui scommettere per il proprio avvenire. Credo che proprio questo sia il nodo focale su cui concentrare la propria attenzione”.
Abbiamo conosciuto Enrico Vinci come una persona tutta d’un pezzo ma che in realtà non è quello che forse è realmente. Sei d’accordo?
“Per quanto riguarda l’avere una certa moralità, una deontologia e un modo di lavorare – in alcuni casi, non propriamente etico -, Enrico è esattamente come l’avevamo lasciato. E’ un uomo rigido, categorico e sono proprio queste fondamentalmente le ragioni per cui è finito il rapporto con Nina; è complicato stargli accanto. La differenza rispetto a prima è cercare di sciogliere alcune sue resistenze”.
Oggi sembra quasi che, soprattutto in questi ultimi anni, essere e apparire si confondano. Oggi essere se stessi è così complicato? Lo dovremmo essere secondo te, indipendentemente dal lavoro che svolgiamo? Perché?
“Essere se stessi è un concetto molto complesso; è stato provato che i nostri comportamenti cambiano a seconda della società e delle persone con i quali ci relazioniamo costantemente. Nessuno di noi è una sola cosa, bensì, tanti colori diversi, ognuno dei quali rimarca una sfumatura diversa di un’identità più o meno dai confini segnati. Essere se stessi significa essere onesti e mantenersi fedeli ad una visione del mondo, avendo però anche il coraggio di metterla in discussione”.
Cosa un capo non dovrebbe sapere mai?
“Non è necessario che un capo sappia proprio tutto del suo dipendente. Credo che non dovrebbe mai sapere quali processi utilizza chi gli è sottoposto per arrivare a svolgere al meglio il proprio mestiere. Il rispetto non coincide sempre con il dire tutto; molto spesso il racconto costante può sfociare nel cercare di avere il capo dalla propria parte. Chi sta sotto deve dimostrare di avere personalità”.
Tolti i panni dell’oramai noto avvocato, cosa ti resta di lui?
“Il tratto malinconico probabilmente e il non tradirsi mai per sentirsi a proprio agio”.
I tuoi prossimi progetti?
“Finito di girare il sequel de “La porta rossa” il 20 ottobre, partirò per Milano per l’allestimento di “After Miss Julie” di Patrick Marber in cui recito al fianco di Gabriella Pession a novembre, Finita questa piccola tournée, inizierò a girare l’Italia con “Ragazzi di vita” di Massimo Popolizio per poi finire con “La classe operaia va in paradiso” di Claudio Longhi”.